Olio d’oliva: maneggiare con cura

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Olio d’oliva: maneggiare con cura

L’estrazione dell’olio dalle olive è importante perché incide sulle caratteristiche dell’olio.  Le olive devono essere raccolte a mano o usando abbattitori meccanici, poi si lavano e si separano dalle foglie e dai rami, che potrebbero alterare la qualità del succo. Per diventare olio d’oliva, questi frutti preziosi poi vengono conservati in aerate in plastica, lontane da fonti di calore. Lì devono rimanere non più di 48 ore, altrimenti si perdono i costituenti fenolici e volatili presenti nell’olio. Essi  caratterizzano l’olio d’oliva per stabilità, qualità nutrizionali e salutistiche, oltre che per il sapore.  Ogni polifenolo influenza il profilo organolettico e nutrizionale dell’olio. Se le olive sostano per troppo tempo nelle cassette aumentano l’acidità e i perossidi. Questo avviene per effetto di enzimi idrolitici che operano sulla parete cellulare.

Seconda fase per produrre l’olio d’oliva è la molitura (o frangitura): consiste nella rottura delle pareti delle cellule per trarne i succhi cellulari e l’olio. La sostanza che se ne ricava è composta da olio, acqua e parti solide. È chiamata pasta d’olio. In questa fase si attivano gli enzimi della polpa e quelli nel seme, per cui è possibile estrarre sostanze volatili. Queste conferiscono l’aroma, ma anche consentono l’ossidazione della matrice oleica, fattori che determinano le qualità organolettiche dell’olio d’oliva.

La terza fase è la gramolatura. Consiste nel rimescolare la pasta d’olio per separare l’olio dall’acqua.  Poi si estrae il mosto d’olio. In questo modo si separa la parte liquida dalla sansa, che è  composta dai residui  delle bucce, della polpa, dei semi e dai frammenti dei noccioli.

La separazione (o chiarificazione) dell’olio d’oliva si otteneva lasciando sedimentare l’olio al riparo da sbalzi di temperatura ed eliminando i residui con mestoli da travaso. Ma anche la filtrazione serviva a eliminare le impurità: l’olio era raccolto in recipienti sul cui fondo c’erano fibre vegetali che catturavano le impurità. L’olio, dopo queste fasi, è però ancora grezzo (mosto), impuro e quindi opalescente. Dunque affinchè si depositino le impurità sul fondo, l’olio viene fatto riposare e  travasato in contenitori puliti.

Per la conservazione, l’olio viene stoccato ma non bisogna farlo invecchiare. Recipienti di vetro scuro o di acciaio inossidabile saranno utili se colmati fino all’orlo per evitare il contatto con l’ossigeno, quindi l’ossidazione. L’olio può essere estratto tramite pressione, metodo tradizionale che valorizza cultivar pregiate. Questa è una pratica che garantisce olio d’oliva eccellente, ma è anche dispendiosa perché implica un processo discontinuo e lungo. Le olive pulite  vengono schiacciate da mezzi meccanici in vasche metalliche dotate di  ruote di granito che girano su sé stesse ed intorno a un albero. La frangitura fa uscire l’olio dai vacuoli e fa frantumare il nocciolo, le cui schegge contribuiscono alla rottura della polpa e quindi all’estrazione di olio d’oliva.

Altro metodo è la centrifugazione, che però, a fronte della velocità, fa perdere  i polifenoli dell’olio. Sicché le virtù nutrizionali e quindi il pregio risultano ridotte. In questo caso, dopo la gramolatura, la pasta di olive viene diluita con un 30% di acqua ed entra in un estrattore centrifugo dal quale escono l’olio e l’acqua di vegetazione. L’estrattore centrifugo, cioè il decanter, porta avanti la pasta di olive comprimendole: escono sanse schiacciate, acqua e olio si separano, ma non completamente.  Tale separazione non è netta, per cui si ricorre alla centrifugazione sia di acqua che del succo per recuperare la piccola percentuale di olio nell’acqua. Si allontana così anche la porzione di acqua di vegetazione che residua nell’olio.

Altro metodo di estrazione dell’olio di oliva è la filtrazione selettiva. In questo caso, alla gramolatura segue il percolamento: la pasta di oliva viene messa su una griglia di acciaio o nichel, sulla quale poggiano lamelle di metallo mobili che penetrano nella pasta. Così l’olio di oliva aderisce alle lamelle meglio di come potrebbe fare l’acqua; dalle lamelle sgocciola l’olio trattenuto. Si tratta di una tecnica che sfrutta la differente tensione esistente tra metallo ed olio e tra metallo ed acqua: sulle piastre scorre un pettine raschiatore in gomma, questo spinge la pasta di oliva sul sistema filtrante. Le goccioline di olio rimangono quindi sulle lamelle di metallo e scivolano, mentre l’acqua non si attacca e resta nella pasta di olive. Questo è un processo più laborioso, ma preserva la componente fenolica dell’olio. Se ne ricava un olio d’oliva di altissima qualità.

Così si ottengono gli oli vergini, i quali sono classificati in base all’acidità libera. Se è inferiore all’1% l’olio è detto extravergine, mentre fino al 2% è solo vergine, come riportato precedentemente. Oltre il 2% di acidità occorre un processo di correzione. Quel che si evince è che le olive sono un frutto da maneggiare con cura, sia nella raccolta che nella conservazione in cassette, sia nella produzione, se si vuole ottenere un  olio di elevata qualità.

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